Soccorso nel Mediterraneo: responsabilità degli stati e ruolo delle organizzazioni umanitarie
di Valentina D’Amico
L’obbligo di soccorso in mare è ancora oggi un principio che le istituzioni, italiane ed europee, tentano di minare. Nel 2022, nonostante i numeri impressionanti sulle morti in mare, non esiste un dispositivo nazionale e internazionale capace di monitorare e trarre in salvo chi tenta di approdare sulle coste europee compiendo la rotta del Mediterraneo centrale. Questo ha implicazioni negative sugli enti, come le organizzazioni umanitarie, che operano per salvaguardare quel principio e per evitare che il numero di morti salga vertiginosamente.
“Noi pensiamo al mare come ad un posto in cui si va a fare il bagno, il Mediterraneo lo pensiamo come un lago grande, tranquillo. Il Mediterraneo è enorme, quando un’imbarcazione va a 6-7 nodi (15km orari), e le barchette dei migranti vanno anche a 2-3 nodi, attraversarlo è un viaggio lunghissimo che soprattutto nel Mediterraneo centrale è un viaggio nel deserto. E’ stata una tratta commerciale importante, ora è un deserto. Perché le navi mercantili o i pescherecci che, per la legge del mare, danno soccorso ai naufraghi vengono normalmente bloccate e sequestrate, per cui gli armatori hanno semplicemente cambiato le rotte.
Le previsioni meteo nel Mediterraneo sono molto più difficili che nell’oceano, quindi nel giro di pochi giorni può cambiare in modo inaspettato. Chi parte non ha mai la certezza di fare un viaggio tranquillo, può succedere di tutto. E nelle operazioni di salvataggio spesso abbiamo incontrato barchette, gommoncini senza neanche una bussola. Gente che riesce a scappare dai centri di detenzione, prende la prima barca che trova e parte. Nuvole di giubbotti di salvataggio che galleggiano in mare senza nessuno. Avanzi di barchette. Questo vedi nel Mediterraneo. Il numero di morti in mare che conosciamo è altamente sottostimato. I pescatori di Lampedusa e Porto Palo non lo mangiano il pesce perché spesso gli capita di pescare pezzi di persone insieme al pesce“.
E’ il disegno che Maso Notarianni di ResQ e Arci fa nella terza giornata del Festival Sabir che si chiude oggi a Matera, per rendere chiaro il difficile contesto in cui le navi di volontari si trovano ad operare e soprattutto le condizioni di viaggio assolutamente precarie e disumane delle persone migranti.
“Il salvataggio in mare così come è oggi, è totalmente illegale” afferma senza mezzi termini Notarianni e spiega che a differenza di quello che si possa pensare “il business dei migranti per i trafficanti libici, che poi sono gli stessi che fanno la cosiddetta guardia costiera e gestiscono i cosiddetti centri di accoglienza ufficiali, costituisce un’attività in perdita, costa molto più di quello che rende mantenere i campi di detenzione. Gestirla serve ai delinquenti libici per esercitare enormi pressioni politiche sugli stati europei, ottenere più finanziamenti e coprire i traffici veri, quelli di petrolio e armi, che fruttano, questi si, milioni se non miliardi di euro”
Valentina Brinis di Open Arms racconta che “normalmente quando allertiamo la cosiddetta guardia costiera libica non otteniamo alcuna risposta e anzi ci siamo trovati ad affrontare vere e proprie scene da farwest, con spari, minacce e diverse ore di contrattazioni rispetto alle persone salvate.
Dal 2015 si è creato un coordinamento tra le organizzazioni di soccorso in mare che ha segnalato questo scenario alle istituzioni italiane ed europee e ogni anno veniamo contattati dalla rete dei parlamentari con cui siamo in contatto ma questo non ha sortito l’effetto di un blocco di finanziamenti alla Libia e neanche la presa in carico della problematica”.
“Oggi gli Stati non solo hanno interrotto l’attività di soccorso ma sono diventati parte attiva anche nel tentativo di impedirla, di criminalizzarla” afferma Marco Bertotto, di Medici Senza Frontiere. “Continuiamo a fare un’attività che non dovremmo fare noi e che è di riduzione del danno, cerchiamo di minimizzare le conseguenze letali di politiche che non hanno nessuna attenzione per la sicurezza e la salvezza della vita umana”.